Fino al recente passato, e in parte tuttora, l’usanza di incenerire i corpi dei defunti è stata limitata da riserve di vario tipo, connesse per lo più alla visione del mondo: in particolare, all’idea che tutto svanisca con la salma che brucia tra le fiamme, e che cremare una persona cara, quindi, comporti il rifiuto della dimensione spirituale e precluda il cammino verso immortalità.
Di fatto però, se guardiamo alla storia, fin dai tempi più antichi le civiltà e le religioni che esse professavano hanno affermato posizioni diversificate e spesso opposte in merito a come onorare i loro morti. Gli Egizi preferivano custodire le salme imbalsamate dei loro sovrani all’interno di monumenti grandiosi, avvolte in bende e accompagnate da un ricco corredo di beni da portare con sé nell’aldilà. I Babilonesi facevano altrettanto. Altri popoli, come gli Ittiti e i Fenici, praticavano la cremazione, ma anche l’inumazione. I Vichinghi affidavano il corpo al mare, in una barca che veniva incendiata.
Gli antichi Greci, nel XII secolo a.C. (l’epoca dell’Iliade) bruciavano i cadaveri dei loro eroi per celebrarne l’ascesa all’Olimpo, simboleggiata dal fumo che si innalzava dalla pira funeraria sulla quale erano stati deposti. Dai ritrovamenti archeologici riguardanti gli Etruschi si è constatato che essi erano soliti incenerire gli adulti maschi e i personaggi più eminenti delle rispettive comunità. All’inumazione veniva riservato un ruolo subalterno. Di fatto, fino all’VIII secolo a.C, presso di loro l’incinerazione ebbe una prevalenza assoluta; a partire da quella data si registrò un’ inversione di tendenza.
L’antica Roma inventò il colombarium, una serie di nicchie adiacenti in cui andavano disposte le ceneri dei defunti. Nelle Tavole delle Leggi del 490 a.C. troviamo scritta una sentenza ripresa anche da Cicerone: Hominem mortuusm in urbe ne sepelito neve urito, cioè “Vietato seppellire o cremare morti all’interno della città”. Per tale ragione, fuori dalle mura, si costruivano gli ustrina (da urere, “bruciare”), aree consacrate alle pire funerarie. La frase che abbiamo citato conferma che entrambi gli usi, cremare e seppellire, erano leciti e diffusi. Durante il II secolo d.C, la prima di queste due pratiche era di gran lunga prevalente: questa consuetudine si sarebbe progressivamente ridotta con la diffusione del cristianesimo. Anche i funerali grandiosi riservati agli imperatori, nel corso dei secoli, furono quasi tutti caratterizzati dalla crematio, che sanciva la divinizzazione spettante, per volontà del Senato, ai sovrani, ai protettori e ai difensori di Roma. A coronare quel rito, il corpo mandato in cenere scompariva tra le fiamme, al cospetto dell’intera popolazione.
Nel corso dei secoli, in Italia, convinzioni religiose e culturali hanno ridimensionato l’importanza della cremazione, che ha cominciato a riaffermarsi nel corso dell’Ottocento, quando si sviluppò un vero e proprio movimento cremazionista. Pensatori, medici e politici si trovarono d’accordo nel promuovere la cremazione come metodo ideale sia sotto l’aspetto igienico che economico e vennero pubblicate approfondite analisi e appelli. Nel 1876 questa tendenza si espresse con la nascita della Società milanese di cremazione e nel 1888 venne approvata la “Legge sull’Igiene e Sanità pubblica del Regno” che definiva le regole da seguire per effettuare questa pratica, che continuò ad affermarsi nei decenni successivi.
Il rapporto tra la cremazione e alcune religioni
Nella cultura indù la cremazione fa tuttora parte di un rito antico, complesso e intenso, antyeshti (“ultimo sacrificio”), che si conclude con l’immersione delle ceneri nel Gange o in un altro fiume. Simboleggia la preparazione del viaggio dell’essere incarnato verso il regno dei morti. È una pratica diffusa, ma non generalizzata, che trova i suoi fondamenti nell’antica letteratura vedica.
Quando si propone la scelta della cremazione, quindi, bisogna letteralmente fare i conti con la storia. Alcune persone la escludono sulla scorta di una tradizione millenaria: è il caso degli ebrei ortodossi. Afferma la Genesi: “Tornerai al suolo, perché dal suolo sei stato tratto: polvere sei e polvere tornerai” (3,19). In questo versetto biblico trova fondamento la convinzione che la salma possa esclusivamente essere sepolta nella terra, nel cimitero ebraico, dove si consumerà secondo i ritmi naturali.
Nel Ventesimo secolo la storia si è incaricata di rafforzare questa riluttanza: l’Olocausto, i campi di sterminio e il connesso uso dei forni crematori hanno costituito un’infamia incancellabile che spiega come, a tutt’oggi, molti ebrei, anche non praticanti, prediligano la sepoltura del corpo.
Anche molti tra i musulmani hanno analoghe riserve sulla cremazione. Esse poggiano su una affermazione di Maometto: “Rompere l’osso di un morto è come rompere quello di un vivo” e, per traslazione, anche cremarlo. Secondo l’Islam i defunti vanno posti rigorosamente sottoterra.
Tra le confessioni cristiane, le posizioni si sono articolate in vario modo. Nei paesi protestanti la cremazione viene praticata abitualmente. Le chiese ortodosse invece la proibiscono in maniera assoluta.
La religione cattolica si è lungamente opposta alla pratica dell’incenerimento dei defunti. Lo ha fatto basandosi, anche in questo caso, su concetti biblici, ma soprattutto partendo dal presupposto che il rispetto per i defunti implichi di preservarne i resti integri in vista della risurrezione dei corpi. Ma la credenza che gli uomini risorgeranno a nuova vita, condivisa dai seguaci di Cristo, non comporta necessariamente che il loro corpo debba essere stato contenuto in una bara. In quel caso si dovrebbe dedurre che il paradiso resti precluso, per esempio, alle persone disperse in mare o scomparse in un incendio. Inoltre, le cellule del corpo sono sottoposte a un ricambio integrale più o meno ogni sette anni: quale componente di noi dovrebbe quindi essere destinata a risorgere? Sono considerazioni convincenti: infatti, già verso la fine del Ventesimo secolo, la proibizione di ardere i cadaveri è stata revocata e la cremazione è stata considerata accettabile, purché poi le ceneri vengano custodite in un cimitero e non all’interno di un’abitazione e non vengano disperse. Oggi la cremazione dei cattolici è esplicitamente autorizzata dal documento vaticano Ad resurgendum cum Christo, del 15 agosto 2016.
Perché scegliere la cremazione oggi?
Perché proporre o praticare la cremazione, quindi? Potremmo dire anzitutto che gli spazi sempre più stretti delle regioni in cui viviamo rendono difficile ampliare i cimiteri, con il connesso aumentare dei costi. Alle ragioni di convenienza si sommano quelle del dovere ambientale nei confronti del pianeta. Non si può dire che l’incenerimento sia assolutamente ecologico, certo, perché eseguirlo comporta un dispendio di energia; tuttavia i resti che ne derivano sono più facili da custodire. Un’urna occupa molto meno spazio di un feretro, senza in alcun modo togliere dignità al corpo, cremato, in essa contenuto, al quale viene peraltro risparmiato il processo di decomposizione.
Sotto il profilo ecologico c’è un’altra ragione a favore della cremazione, connessa agli sviluppi recenti della nostra civiltà. Le salme, attualmente, si decompongono molto meno facilmente di quanto non accadesse fino a un paio di generazioni fa: i farmaci che assumiamo nel corso della vita, così come i conservanti contenuti in molti alimenti di cui ci nutriamo, spesso dopo la morte danno come risultato una sorta di imbalsamazione della salma, che impedisce quel processo naturale di dissolvimento su cui sono basate le consuetudini e le norme cimiteriali. Col risultato che spesso non si possono, a suo tempo, rimuovere i resti per raccoglierli in contenitori di minori dimensioni.
Quando si verifica questo tipo di condizione le leggi vigenti in molti paesi prescrivono la cremazione: perché, quindi, non ricorrere subito a questa pratica?